
Filippo Turetta è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di Giulia Cecchettin, una giovane donna brutalmente assassinata con ben 75 coltellate. Nonostante la gravità del crimine, la Corte d'Assise di Venezia ha deciso di non riconoscere l'aggravante della crudeltà, una scelta che ha acceso un acceso dibattito nell'opinione pubblica. Questo verdetto richiama alla mente il caso di Salvatore Parolisi, condannato per l'omicidio della moglie Melania Rea con 35 coltellate, anch'egli senza l'aggravante della crudeltà.
Filippo Turetta e Salvatore Parolisi: No all’aggravante della crudeltà
I casi di Turetta e Parolisi condividono l'uso di numerosi colpi di coltello inflitti alle loro compagne. La Corte ha escluso l'aggravante della crudeltà per entrambi, giustificando la decisione con motivazioni simili. La sentenza riguardante Giulia Cecchettin ha suscitato indignazione, in particolare da parte della sorella della vittima, Elena Cecchettin, che ha manifestato il suo disappunto nei confronti dei giudici. Questa non è un'eccezione, poiché precedenti giuridici mostrano che tale interpretazione della legge non è rara.
Turetta, le motivazioni dei giudici
Nel caso di Filippo Turetta, i giudici hanno sostenuto che non esistevano prove sufficienti per dimostrare che l'imputato avesse agito con crudeltà. Hanno affermato che non era possibile stabilire con certezza che Turetta intendesse infliggere sofferenze gratuite a Giulia. Riguardo alle 75 coltellate, la Corte ha sottolineato l'importanza di determinare se la reiterazione dei colpi fosse funzionale all'omicidio o se rappresentasse un accanimento gratuito.
Inoltre, la Corte ha evidenziato che la modalità dell'omicidio, sebbene efferata, non fosse il risultato di una scelta deliberata da parte di Turetta, ma piuttosto di una sua inesperienza e incapacità. Secondo i giudici, Turetta non possedeva le competenze necessarie per infliggere colpi più efficaci, continuando a colpire in modo impreciso fino a rendersi conto che Giulia non era più viva.
Parolisi, le motivazioni dei giudici
Per quanto riguarda Salvatore Parolisi, i giudici hanno chiarito che la semplice ripetizione dei colpi non è sufficiente a integrare l'aggravante della crudeltà. Hanno citato una sentenza della Suprema Corte, affermando che in contesti caratterizzati da un dolo d'impeto, il numero di colpi inferti non deve essere interpretato come un segno di crudeltà, ma piuttosto come un'espressione di rabbia e aggressività.
La Corte ha concluso che, nel caso di Parolisi, il numero di colpi inflitti rappresenta l'immediatezza della decisione omicidiaria, piuttosto che un comportamento particolarmente crudele. Entrambi i casi pongono interrogativi profondi sulla giustizia e sull'interpretazione della legge in situazioni di omicidio, lasciando la società a riflettere sulle implicazioni di tali sentenze.