Curiosità sulla Valle d'Aosta e su qualche valdostano

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In questa sezione riportiamo alcune curiosità legate alla storia, alle tradizioni, alla cultura e all'economia della Valle d'Aosta.

La seconda parte è riservata alle biografie di valdostani poco noti oppure di personaggi più conosciuti dei quali molti ignorano l'origine valdostana.

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Di chi è la cima del Monte Bianco?
Carta topografica dell'atlante sardo (1869), con il confine tracciato sulla cima del Monte Bianco
Poiché la vetta è posta sulla cresta spartiacque, la risposta logica è che la cima si trovi sul confine italo-francese. In realtà i francesi considerano la sommità interamente sul proprio territorio e così le carte internazionali. La questione ha una storia di tre secoli. Nel 1728 quando in Savoia iniziò la Mensuration Générale per il catasto di Vittorio Amedeo II, per paura di dover pagare tasse anche su terreni sterili come i ghiacciai, gli abitanti di Chamonix non rivendicarono proprietà sul Monte Bianco, che risultò appartenente tutto a Courmayeur. Più tardi il confine interno fra il Ducato di Aosta e la Savoia venne indicato sulle mappe sempre sullo spartiacque. Anche la carta allegata al Trattato di cessione della Savoia alla Francia del 1862 tracciò correttamente il confine sulla vetta della montagna. Nel 1865, però, il francese Joseph Mieulet, con un autentico colpo di mano, disegnò una carta nella quale la sommità del Monte Bianco risultava tutta francese, facendo arbitrariamente fare al confine di stato un'anomala deviazione dalla cresta spartiacque. Non ci furono repliche ufficiali da parte del governo italiano, ma la cartografia italiana non riconobbe mai i confini proposti dalla carta del Mieulet che venne tuttavia recepita a livello internazionale. Il problema non ha avuto finora particolari riflessi pratici ma nel contesto glaciologico attuale, in cui le riserve d’acqua diventano preziose, potrebbe essere importante avere confini definiti e soprattutto concordanti sulle carte geografiche italiane e francesi.

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Andiamo a caccia del DAHU.
dahu destrogiro e levogiroIl Dahu è un animale mitico che ha la caratteristica di avere le due zampe di un lato più corte. Si tratta un chiaro adattamento ai ripidi pendii di montagna! Per via della loro peculiare caratteristica anatomica, questi animali devono però sempre girare attorno alla montagna nello stesso verso. Ci sono dahu destrogiri (girano in senso orario) e dahu levogiri (girano in senso antiorario)...
La caccia al dahu si svolge solo di notte e, rigorosamente, in compagnia di una ragazza! Avvistato l'animale, lo si richiama con un particolare fischio: l'animale curioso si volta e, data la sua caratteristica anatomica, perde l'equilibrio e precipita.

Il dahu nell'interpretazione dell'artista valdostano Franco GrobberioNumerosi i siti sui dahu, soprattutto in lingua francese.

Video con le più recenti scoperte sul dahu.
Il dahu è in via di estinzione?
Dahu extrème
Spedizione francese alla ricerca del dahu (con dati "scientifici" sui dahu).

 

Il dahu è conosciuto sulle Alpi e sui Pirenei. In altre nazioni si citano altri animali chimera: il Wolpertinger in Baviera, l'Haggis selvatico in Scozia, il Jackalope in Nord America, lo Skvader in Svezia.

 

Nel Museo delle Alpi, all'interno del Forte di Bard, in una piccola sala in cui si descrivono alcune implicazioni dei pendii sulla vita in montagna, uno spazio apposito è dedicato al dahu.

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Simboli della Valle d'Aosta

La legge regionale n. 6 del 2006 ha istituito la Festa della Valle d'Aosta e ha definito ufficialmente la bandiera e l'inno della regione.

Inno della Valle d'Aosta

L'inno ufficiale della Valle d'Aosta è la canzone popolare "Montagnes valdôtaines", brano molto noto, entrato nel repertorio anche di numerose corali non valdostane. Il motivo venne composto attorno al 1835 dal compositore parigino Alfred Roland, all'epoca  inviato come funzionario delle imposte a Bagnères-des-Bigorres, nei Pirenei, non lontano da Lourdes. La canzone si intitolava in origine Montagnes Pyrénées o Tyrolienne des Pyrénées. Verso il 1932 venne trasformata in Montagnes Valdotaines e divenne presto molto popolare in tutta la regione. L'incipit del brano apre - da mezzo secolo - l'edizione del giornale radio regionale.

Ecco il testo della prima strofa:

Montagnes valdôtaines,

Vous êtes mes amours;

Hameaux, clochers, fontaines,

Vous me plairez toujours.

Rien n'est si beau que ma patrie,

Rien n'est si doux que mon amie,

O montagnards, (bis)

Chantez en chœur (bis)

De mon pays, (bis)
La paix et le bonheur!

De mon pays, (bis)
La paix et le bonheur!

Les montagnards sont là!

Halte là! Halte là! Halte là!

E' interessante scorrere le vicende dell'autore, Alfred Roland. Giunto per lavoro nei Pirenei, si appassiona ai ritmi e alle voci delle persone che lavorano nelle botteghe del paese. A proprie spese crea una scuola e raccoglie rapidamente oltre 200 coristi. Compone numerosi brani che cantano le montagne e le genti dei Pirenei, opere che rimangono ancora nel patrimonio folcloristico di quella regione. Nel 1838 raccoglie i 40 migliori elementi della sua corale e organizza una tournée nazionale: il successo fu grandissimo. Nel 1839 a Parigi il coro si esibisce davanti a 8.000 spettatori e negli anni seguenti il successo continua a livello internazionale: a Londra, Anversa, Bruxelles, a Roma per il papa e poi ancora in Germania, Russia, Egitto, Grecia, Turchia...

Testo originale della Tyrolyenne des Pyrénées:

Montagnes Pyrénées

Vous êtes mes amours,

Cabanes fortunées

Vous me plairez toujours,

...

 

Ascoltate qualche esecuzione:

Dal sito Le mie cime di Athos Viali, la versione eseguito dal coro Tre pini di Padova.

Alcuni video da Youtube:

Esecuzione in occasione della Festa della Valle d'Aosta, 7 settembre 2009

Filmato con immagini della Valle d'Aosta e Montagnes valdotaines come colonna sonora.

Esecuzione del Coro Edelweiss del CAI di Torino

 

Bandiera della Valle d'Aosta

Bandiera rosso nera della Valle d'AostaLa bandiera della Regione è formata da un drappo di forma rettangolare, suddiviso verticalmente in due sezioni uguali di colore nero e rosso, con la banda nera dalla parte dell'asta.

La sua origine risale agli anni della Resistenza. I colori rosso e nero vennero utilizzati per la prima volta dal can. Joseph Bréan  su un opuscolo del 1942, intitolato "I grandi valdostani", traendoli dal sigillo cinquecentesco del Ducato di Aosta, un leone d'argento su scudo nero al capo di rosso. La Resistenza valdostana scelse come propria bandiera un drappo con due bande orizzontali: nero sotto e rosso sopra. Questa bandiera, pur riconosciuta da tutti, non venne ufficializzata nello Statuto di Autonomia. Negli anni '50 la bandiera si trasformò in quella attuale a bande verticali.

 

Stemma della Valle d'Aosta

Stemma della Valle d'AostaLo stemma della Valle d’Aosta raffigura un leone rampante. Non è certo un animale che viva fra le nostre montagne, ma stambecchi e camosci non compaiono solitamente su stemmi e vessilli, mentre il leone, per la sua potente valenza simbolica, è tra i simboli più ricorrenti nell’araldica, insieme alle aquile e alle croci, e si presenta in svariate fogge e posizioni, intero o mutilato. Il leone compare sugli stemmi gentilizi appartenenti a una ventina delle più antiche famiglie nobili della regione. Tutti derivano, probabilmente, da un’antica insegna collettiva di guerra, dalla quale sono poi discesi i blasoni delle diverse famiglie. Si può ipotizzare che questo simbolo avesse valenza territoriale e che il leone fosse dunque simbolo della Valle d'Aosta sin dalle origini dell'araldica.. Nel 1536, con l'eclissi degli stati sabaudi a seguito dell'invasione francese, il Ducato di Aosta divenne di fatto indipendente, retto dal Conseil des Commis, e adottò come proprio simbolo il leone. Nello stemma reale di Emanuele Filiberto compariva il leone di Aosta che scomparve al tempo di Carlo Alberto. Rimase nello stemma di Aosta e nel 1945 il gonfalone regionale riprese ancora una volta il secolare leone d'argento in campo nero che il governo nazionale riconobbe come stemma della Valle d'Aosta.

Bibliografia: Gli stemmi della regione e dei comuni della Valle d'Aosta, 2008. B. Fracasso, J.G. Rivolin, M. Ghirardi

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I nomi dei comuni valdostani durante il fascismo.
Da Alleno a Villanova Baltea passando per Etroble, Liliana e Torgnone!
Durante il ventennio fascista, coerentemente con la politica di italianizzazione della Valle d'Aosta, il regime cambiò la denominazione di alcuni comuni valdostani. L’originale grafia francese venne quindi italianizzata e trasformata, spesso con risultati involontariamente comici. Fortunatamente i nomi originali furono ripristinati dopo la caduta del fascismo, con decreto del 7 settembre 1945 (oggi Festa ufficiale della Valle d'Aosta).

Denominazione attuale

Denominazione durante il periodo fascista

Allein
Antey-Saint-André
Aosta-Aoste
Arvier
Aymavilles
Ayas
Bard
Bionaz
Brusson
Challant-Saint-Anselme
Chambave
Chamois
Champorcher
Châtillon
Cogne
Courmayeur
Doues
Donnas
Etroubles
Gressoney
Issime
Issogne
La Magdelaine
La Salle
La Thuile
Lillianes
Montjovet
Morgex
Nus
Ollomont
Oyace
Pontboset
Pont-Saint-Martin
Pré-Saint-Didier
Quart 
Rhêmes-Saint-Georges
Saint-Oyen
Saint-Rhémy-en-Bosses
Saint-Vincent 
Torgnon
Valgrisenche
Valpelline
Valsavarenche
Valtournenche
Verrès
Villeneuve

Alleno
Antei Sant'Andrea
Aosta
Arviè
Aimavilia
Ayas
Bard
Biona
Brussone
Villa Sant’Anselmo
Ciambave
Camosio
Campo Laris
Castiglione Dora
Cogne
Cormaiore
Dovia d’Aosta
Donas
Etroble
Gressonei
Issime
Issogne
La Maddalena d’Aosta
Sala Dora
Porta Littoria
Lilliana
Mongiove
Valdigna d’Aosta
Nus
Ollomonte
Oiasse
Pianboseto
Ponte San Martino
San Desiderio Terme
Quarto Praetoria
Val di Rema
Sant’Eugenio
San Remigio
San Vincenzo della Fonte
Torgnone
Valgrisenza
Valpellina
Valsavara
Val Tornenza
Castel Verres
Villanova Baltea

Durante il fascismo alcuni piccoli comuni erano stati accorpati. Oggi i comuni della regione sono 74, il 60% dei quali ha meno di 1.000 abitanti. Alcuni non raggiungono i 100 residenti.

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Il Casino de la Vallée di Saint-Vincent, un po' di storia.

Lo sviluppo turistico di Saint-Vincent iniziò - come in molte altre località - con il termalismo. La sorgente Fons salutis, scoperta nel 1770 dall'abate Jean-Baptiste Perret, era frequentata dalla nobiltà sabauda che veniva nella cittadina valdostana a "passare le acque". Storica immagine del Casino di Saint-VincentNel 1921 il sindaco Elia Page ottenne dal Prefetto di Aosta l'autorizzazione ad aprire un Casino. Dopo la Liberazione, Page fece analoga domanda al governo nazionale. In mancanza di una risposta dal governo De Gasperi, il 13 maggio del '46 il Consiglio regionale della Valle d'Aosta, presieduto da Federico Chabod, forte delle competenze affidate alla regione con i Decreti luogotenenziali del 7 settembre 1945, approvò l'apertura ventennale di un Casino a Saint-Vincent.

La casa da gioco venne inaugurata il 29 marzo 1947 nei locali del Grand Hotel Billia. Quella sera c'erano tre clienti: un industriale tessile biellese, un commerciante torinese e un avvocato casalese. Si dice che alla prima puntata sia uscito il nove: "neuf, rouge, impair et manque".

Il Casino di Saint-Vincent (http://www.casinodelavallee.info/) è stato per diversi anni la più importante casa da gioco d'Europa. Oggi, per diversi fattori, ha perso questa posizione (con grave detrimento per l'economia del comune e della regione).

Rimane tuttavia un'importante struttura di intrattenimento dove, ai tradizionali giochi francesi, si sono aggiunti nel tempo i giochi americani e quelli elettronici, rendendo il gioco d'azzardo accessibile a una più vasta fascia di giocatori.

Saint-Vincent, definita la Riviera delle Alpi per l'invidiabile clima di cui gode, è una cittadina nota, oltre che per la casa da gioco, per le diverse iniziative mondane e culturali organizzate dal Casino:

-          Premio Saint-Vincent per il giornalismo, indetto nel 1948  http://giornalisti.casinodelavallee.info/

-          Grolle d'oro - Premio Saint-Vincent per il cinema, istituito nel 1950  http://www.grolledoro.com/

-          Telegrolle - Premio Saint-Vincent per la fiction televisiva, dal 2001 http://www.telegrolle.tv/

-          Radiogrolle, Premio Saint-Vincent per la radio, dal 2007  http://www.radiogrolle.it/

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1908 - 2008 i 100 anni del Grand Hôtel Billia di Saint-Vincent

Il Grand Hotel Billia di Saint-Vincent ha festeggiato nel 2008 i suoi 100 anni di attività. Questa prestigiosa struttura, da un secolo un punto di eccellenza del turismo della Valle d’Aosta, è ora oggetto di un profondo rinnovamento per un doveroso rilancio.

Auto d'epoca all'ingresso del Grand Hotel Billia di Saint-VincentL’edificio viene realizzato nel 1908 da Stefano Billia, un imprenditore che gestiva il servizio di diligenza tra Ivrea e Saint-Vincent (la ferrovia era arrivata ad Aosta solo nel 1886). Saint-Vincent aveva avuto un importante sviluppo turistico con la scoperta della sorgente Fons salutis e del suo sfruttamento a scopo termale. La cittadina era frequentata dalla nobiltà sabauda e dalla ricca borghesia che veniva alle Terme. Billia realizza un progetto molto ambizioso, da molti definito visionario: acquista numerosi terreni e costruisce - non lontano dalle Terme - lo “Stabilimento idroterapico e Grande Hôtel Billia”,  un albergo di categoria lusso, dotato di 138 camere per 200 posti letto. L’architettura, i decori e l’arredamento fanno di questo complesso un autentico tempio della Belle Epoque. L’albergo era circondato da un ampio parco alberato con una piscina circolare con un alto getto d’acqua. La sua apertura cambiò radicalmente l’offerta turistica di tutta la regione. Nel secondo dopoguerra il motore del turismo di Saint-Vincent non sono più le Terme bensì il Casinò. L’apertura della casa da gioco avviene proprio all’interno dell’Hotel Billia il 29 marzo 1947. Per la gestione del Casino viene costituita una società, la Sitav, i cui fondatori sono Dino Lora Totino, Francesco Rivella e Mario Billia, figlio di Stefano, il fondatore del GHB.  La prima settimana di apertura arriverà re Faruk d’Egitto, primo fra i tantissimi personaggi del jet set che frequenteranno per anni il Casino, soggiornando al Billia. Il Casino e il Grand Hotel formeranno per anni un connubio in grado di attirare una clientela internazionale di altissimo livello.

Per far decollare Saint-Vincent come cittadina mondana, vengono istituiti i premi Saint-Vincent, prestigiosi riconoscimenti in varie discipline della cultura e dello spettacolo. Premiazione delle Grolle d'oro per il cinemaA questi si affiancano gare internazionali di tiro a volo, manifestazioni d’alta moda, mostre canine, ecc. Nel 1952 soggiorna al GHB il presidente della Repubblica, Luigi Einaudi. Nasce nel 1952 il premio Grolle d’oro per il cinema che premierà negli anni i grandi nomi del cinema italiano: Fellini, De Sica, Antonioni, Pasolini, Pontecorvo, Sordi, Tognazzi, Gassman, Mastroianni, Loren, solo per citarne alcuni. Nel 1957 il Casinò si trasferisce nella nuova sede ma il Grand Hotel continua ad affiancarne l’attività. Nel 1971 la città ospita il concorso canoro Un Disco per l’estate, presentato da Mike Buongiorno e da Gabriella Farinon. Nel 1981, per permettere l’ampliamento della casa da gioco, le roulette vengono nuovamente trasferite nel Billia. L’anno successivo, terminati i lavori che ne raddoppiano gli spazi, il Casino di Saint-Vincent diventa il più grande d’Europa. Anche il GHB cambia volto, nel 1983 terminano gli ampliamenti che portano l’offerta a 259 camere per 500 posti letto, ristoranti per 600 coperti e nuove strutture all’avanguardia per il turismo congressuale. Negli anni ’90 si acuiscono le tensioni fra la società che possiede il Grand Hotel e il centro congressi e l’amministrazione regionale che affida il casino a una gestione straordinaria. Il divorzio fra le due strutture limita l’organizzazione di proposte collaterali al gioco d’azzardo e determina una crisi di entrambe le attività. Oggi, dopo l’acquisto del Grand Hotel Billia da parte della Regione Autonoma Valle d’Aosta, si sta procedendo a interventi di riammodernamento e riqualificazione dell’illustre complesso, con l’obiettivo di riavviare le sinergie che per quasi un secolo hanno fatto di Saint-Vincent una delle mete più ricercate dai turisti e del GHB una delle strutture più prestigiose dell’industria alberghiera italiana.

Grand Hotel Billia, sito ufficiale

Video (su YouTube) presentato in occasione delle celebrazioni per il 100° anniversario del Grand Hotel Billia

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I cani San Bernardo, guardiani del Colle

Un cane San Bernardo. Sullo sfondo l'Ospizio omonimo. Foto di Giuseppe VuyetIl cane San Bernardo venne allevato, fin dal X secolo, nell'Ospizio posto sullo storico Colle del Gran San Bernardo, tra la Svizzera e l'Italia. Razza nota per la sua taglia imponente (un maschio adulto, alto 90 cm al garrese, può arrivare a pesare tra gli 80 e i 90 Kg) e per le eccezionali doti di intelligenza e mitezza, il cane San Bernardo è un diretto discendente del molosso romano e inizialmente fu scelto dai monaci perché con il suo peso e le sue zampe larghe era adatto a tracciare sentieri sulla neve, come una sorta di "spartineve" animale. I cani vennero in seguito addestrati per il trasporto e il soccorso e divennero famosi per il recupero di malcapitati viandanti perduti, congelati o sepolti dalla neve nel tentativo di attraversare il valico. Da ricordare tra tutte la triste storia di Barry, il mitico cane dell’ospizio, autore di innumerevoli salvataggi, ferito gravemente da colui al quale aveva prestato soccorso e che lo aveva scambiato per un orso.

Alcuni anni fa i monaci dell'Ospizio avevano annunciato di non poter più ospitare i cani a causa dell'alto costo del loro mantenimento. Si è allora mobilitata un'associazione svizzera che ha raccolto fondi per poterli tenere ancora là dove per secoli hanno svolto la loro opera di soccorso a pellegrini e viaggiatori.

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Valdostani
Riportiamo una breve biografia di alcuni valdostani più o meno noti
Maurice Garin.
Il vincitore del primo Tour de France, nel 1903, fu il valdostano Maurice Garin, nato ad Arvier il 3 marzo 1871. Maurice GarinCome molti valdostani, soprattutto delle vallate attorno al Gran Paradiso, era emigrato giovanissimo in Francia per fare lo spazzacamino. Quando iniziò a pedalare si guadagnò il soprannome di “le fou” (il pazzo) mentre la stampa lo definiva “le petit ramoneur” (il piccolo spazzacamino) perché era alto solo 1,63 m e pesava 62 Kg. Un altro appellativo significativo era "cul de fer"... Si aggiudicò il primo Tour, lungo 2.428 km, in 94 ore e 33 minuti, alla media di 25,679, correndo su una bicicletta a ruota fissa, pesante 16 kg e con le strade dell’epoca! Vinse anche due Parigi-Roubaix, nel 1897 e nel 1898 (fu il primo italiano a vincere la prestigiosa corsa internazionale, venne infatti naturalizzato francese solo nel dicembre del 1901); una Parigi-Brest-Parigi nel 1901 (1.200 km, due giorni e due notti di corsa!), infliggendo distacchi di oltre due ore. La sua resistenza era leggendaria: fu primo nella 800 Km da Parigi a Bruxelles (1893), nella 24 ore di Liegi (1894) e, con un freddo siberiano, in quella delle Arti Liberali a Parigi (1895). Vinse anche Dinant-Namur-Dinant, Liegi-Thion, Parigi-Le Mans, Parigi-Mons, Parigi-Cabourg, Parigi-Royan, Bordeaux-Parigi. Squalificato nell’edizione del Tour del 1904, si ritirò dalle corse. Si sposò 4 volte, morì a Lens nel 1957.
 
Innocenzo Manzetti – Aosta,1826-1877
Benché una nota querelle abbia sempre conteso fra i soli Bell e Meucci l’invenzione del telefono, questa è da attribuire, secondo fatti ben documentati, all’inventore valdostano Innocenzo Manzetti.
Come dimostrano le ricerche di Mauro Caniggia Nicolotti e Luca Poggianti, fin dal 1849 Manzetti aveva approntato un rudimentale apparecchio che poi perfezionò e presentò alla stampa nell'estate del 1865, sei anni prima del 'caveat' di Meucci e 11 anni prima del brevetto Bell. Dopo la presentazione del suo strumento, per la prima volta al mondo, la stampa internazionale annunciò che “era stata trovata la possibilità di trasmettere la parola a grandi distanze per mezzo del filo elettrico”. Qualche mese dopo, lo stesso Meucci, relativamente a tale invenzione, scrisse a un giornale newyorkese: “Io non posso negare al signor Manzetti la sua invenzione...”, poi descrisse un suo telefono che era meno perfezionato e qualitativamente inferiore a quello inventato ad Aosta: “Meucci mentre parlava doveva tenere stretta fra i denti una lamina, Manzetti discorreva liberamente in una cornetta”. In questi ultimi anni alcuni storici italiani delle telecomunicazioni hanno notato come i progetti di Meucci denotino una certa somiglianza con il dispositivo del Manzetti e, quindi, sono posteriori al 1865. Si comprende anche perché nel 1885 il signor August Mathias Tanner, procuratore dei brevetti a Washington, in occasione delle decine di processi che vedevano contrapporsi Bell, Meucci e altri presunti inventori, richiese a parenti e amici di Manzetti gli articoli di giornale che potessero servire per far riconoscere ufficialmente in America il genio valdostano come “the true inventor of the speaking telephone”. Purtroppo era ormai troppo tardi: qualche anno prima, due sconosciuti emissari di un’imprecisata compagnia telefonica americana, frodarono gli eredi Manzetti portando loro via tutti i progetti e i prototipi dell'invenzione in cambio di illusorie promesse, così come testimoniato da un atto notarile conservato ad Aosta.automa di Manzetti
Manzetti si occupò di acustica, di idraulica, di elettricità, di meccanica, di astronomia e la sua prima importante invenzione, realizzata intorno agli anni 1848-49, fu il "suonatore di flauto", una sorta di moderno robot in grado di suonare tale strumento a fiato. L'automa (che era composto da almeno cinquecento congegni meccanici!) assomigliava a un uomo vero e la sua struttura era composta da ferro, acciaio e pelle di camoscio. Aveva una maschera e due occhi di porcellana. Una parte delle componenti essenziali dell'automa era costruita con un particolare tipo di plastica realizzata anch'essa da Manzetti.
Manzetti realizzò numerosi altri strumenti che risultarono di grande utilità pubblica. Tra gli altri si ricorda un velocipede a tre ruote, una particolare macchina idraulica impiegata per svuotare i pozzi delle miniere di Ollomont, un sistema di filtraggio che permetteva di rendere più pura l'acqua del torrente Buthier, allora usata per l'approvvigionamento idrico di Aosta. Fu di sua creazione anche un particolare pantografo in grado di riprodurre qualsiasi oggetto riducendolo o ingrandendolo. Manzetti non era però dotato di un grande senso degli affari, creava marchingegni per puro diletto o per amore di scienza e quando produceva per rivendere ne traeva in genere magri guadagni.

Per saperne di più:

http://www.innocenzomanzetti.it/
http://www.radiomarconi.com/marconi/manzetti/index.html

A Manzetti è ora dedicato una mostra permanente al Centre Saint Bénin di Aosta.

Sant'Anselmo
Statua di Sant'Anselmo sulla facciata della cattedrale di Aosta.Il valdostano più illustre è certamente Sant'Anselmo d'Aosta, filosofo, dottore della chiesa e Arcivescovo di Canterbury. Nato ad Aosta (o forse nella vicina Gressan) nel 1033, "emigrò" in Francia come tanti altri valdostani dopo di lui. Nel 1060 entrò nell'abbazia benedettina di Bec, in Normandia, della quale divenne abate nel 1078. Chiamato in Inghilterra da Lanfranco di Pavia, vi riorganizzò la vita monastica e nel 1093 fu eletto arcivescovo di Canterbury. In un'epoca di forte ingerenza del potere secolare, Anselmo si oppose strenuamente all'invadenza del potere politico dei re Guglielmo il Rosso ed Enrico. Morì nel 1109.
Nel pensiero di Anselmo l'indagine razionale è avvertita come indispensabile alla fede e in accordo con la rivelazione. Credo ut intelligam (credo per capire) è la formula efficace con cui Anselmo sintetizza tale metodo. Famosa è la sua dimostrazione dell'esistenza di Dio, la cosiddetta "prova ontologica".
Non è il patrono della Valle d'Aosta, che è invece San Grato, vescovo della diocesi nel V secolo, festeggiato il 7 settembre con una processione per le vie di Aosta.
Per saperne di più:
http://www.forma-mentis.net/Filosofia/Contributi/Anselmo.html
http://www.enrosadira.it/santi/a/anselmo.htmI
Particolare del cenotafio dedicato a Sant'Anselmo d'Aosta, opera dello scultore Stephen CoxIl 21 aprile 2009, in occasione del nono centenario della morte di Sant'Anselmo d'Aosta, è stato inaugurato il moderno monumento intitolato "Tribute to Saint Anselme", opera dallo scultore britannico Stephen Cox, realizzato con marmo verde di Saint-Denis e collocato sul lato meridionale della cattedrale di Aosta.

L'anno prima era stato restaurato il monumento posto in Via Xavier de Maistre , opera dello scultore Arturo Stagliano, realizzata un secolo fa con una sottoscrizione pubblica.

 

Marcel Bich

Era di origine valdostana il barone Marcel Bich. Se questo nome vi dice poco, il marchio dei suoi prodotti vi è Marcel Bich sicuramente noto: BiC ®. Nato a Torino nel 1904, da famiglia originaria di Valtournenche, seguì il padre, ingegnere civile, in Italia, Spagna e infine in Francia dove gli venne accordata la cittadinanza nel 1931. Alla Liberazione rilevò, insieme a un socio, una fabbrica di stilografiche. Nel ’49 decise di puntare tutto sulla penna a sfera, già prodotta negli Stati Uniti, che riuscì a perfezionare rapidamente. Nel ’53 contrattò i diritti d’autore con l’ungherese Biro, rifugiato in Argentina, che aveva brevettato la penna a sfera, e iniziò la prima campagna pubblicitaria. Il successo fu enorme e, a fronte di un’attesa di produzione di 10.000 penne al giorno, in 3 anni le richieste superarono le 250.000. La sua penna inaugurò l’era dei prodotti non ricaricabili, a basso costo. Iniziò quindi a esportare e nel 1957 riuscì nel suo secondo “colpaccio”: acquisire l’azienda inglese Biro-Swan. Manifesto pubblicitario della penna sfera BIC L’anno seguente, non senza problemi, acquisì anche il 60% dell’americana Waterman. La sua ascesa continuò ininterrotta alla conquista di tutti i mercati mondiali. Oggi si vendono nel mondo circa 20.000.000 di biro BIC al giorno!

Nel 1973 Marcel Bich inizia a diversificare la propria attività lanciando l’accendino BIC a fiamma regolabile. La sua qualità e praticità gli assicurano un immediato successo. Nel ’75 nasce il rasoio monolama usa e getta, seguito dal celebre bilama. Oggi la BIC è leader anche in questi settori, con una produzione di 4 milioni di accendini e otto milioni di rasoi al giorno.

Appassionato di vela, a cinquant’anni partecipò senza successo alla Coppa America.

Il barone Bich ha donato alla regione Valle d’Aosta il castello di Ussel, insieme a un generoso contributo, affinché venisse restaurato e restituito a un uso collettivo. Oggi questo interessante maniero è nuovamente aperto al pubblico e ospita esposizioni temporanee.

Marcel Bich morì il 30 maggio 1994, all’età di ottant’anni. Il figlio Bruno, che nel 1993 ha preso la presidenza del gruppo, ha assicurato di seguire i principi del padre: “Dare fiducia agli uomini, non avere debiti, avere posizioni mondiali, vendere al pubblico la migliore qualità al prezzo più basso possibile”.

 

Samuel Farinet
Joseph-Samuel Farinet, illustre falsarioJoseph-Samuel Farinet, il famoso falsario, eroe dei Vallesani, era nato a Laval, frazione di Saint-Rhémy, comune sul versante valdostano del Colle del Gran San Bernardo, il 17 giugno 1845. Il padre, un fabbro benestante, gli insegna il mestiere e Samuel, ancora ragazzo, comincia a riparare chiavi e a fabbricare monete per gioco. A vent’anni diventa falsario professionista. Condannato all’ergastolo, fugge in Svizzera, facendo ritorno di quando in quando in Valle d’Aosta per vedere l’amata Adéla e la figlia illegittima Marie-Célestine. Nascosto fra le valli di Bagne e Entremont, a monte di Martigny, sostenuto dalla popolazione locale, eserciterà per anni la sua arte, realizzando monete definite “più vere delle vere”. Più volte arrestato, riesce sempre a evadere. Il 17 aprile 1880, a soli 35 anni, dopo una lunga caccia all’uomo, Farinet muore tragicamente nelle gole del Salentze, tra Saillon e Leytron, non si sa se colpito da una pallottola o precipitato nel burrone. Verrà sepolto senza sacramenti nella fossa comune di Saillon. La sua fama è dovuta soprattutto al romanzo che Charles-Ferdinand Ramuz scrisse su di lui e al film “L’or dans la montagne” ispirato allo stesso libro. Romanzo e film hanno fatto di Samuel Farinet una sorta di Robin Hood delle Alpi, un fuorilegge dal cuore d’oro, un eroe romantico in lotta contro il sistema, figura in realtà piuttosto distante dalla verità storica.
In occasione del centenario della morte, un gruppo di ammiratori ha fondato la Bande à Farinet, associazione che ha organizzato diverse iniziative in suo ricordo. La più nota è la creazione della Vigne à Farinet, la più piccola vigna del mondo, nella quale hanno lavorato simbolicamente illustri personaggi.

A Saint-Rhémy-en-Bosses, comune oggi noto per il jambon de Bosses, un prosciutto crudo DOP, esiste ancora la casa natale di Farinet.
Saillon è una bella cittadina termale in mezzo ai vigneti, a pochi Km da Martigny, sulla sponda destra della valle del Rodano. Oltre alla vigna, a ricordo di Farinet c’è un sentiero scandito da vetrate artistiche.
A Martigny vale la pena di visitare il Centre Gianadda che ospita esposizioni di grande livello oltre a interessanti collezioni stabili.

 

Natalino Sapegno 

Nacque ad Aosta - il 10 novembre 1901 - anche Natalino Sapegno, il grande critico letterario sui cui testi hanno studiato generazioni di studenti. Il giovane Natalino frequentò ad Aosta i primi due anni del liceo per poi iscriversi, non ancora diciassettenne, alla facoltà di Lettere di Torino, avendo anticipato di un anno l'esame di maturità. Conseguì la laurea nel ’22, non ancora ventunenne. L’avvento del fascismo lo spinse a dedicarsi all’insegnamento e ad approfondire la propria formazione letteraria. Nel 1930 ottenne la libera docenza all'Università di Padova e nel ‘36 fu chiamato a ricoprire la prestigiosa cattedra di letteratura italiana all'Università di Roma. Tra il '38 e il '50 frequentò i giovani antifascisti della facoltà romana di Lettere, molti dei quali saranno protagonisti della resistenza e della lotta politica successiva alla liberazione, cui prenderà parte anche lo stesso Sapegno, iscrivendosi al P.C.I. dal quale uscirà nel '56 in seguito alla repressione sovietica dei moti di Ungheria. Questi anni vedono il pieno dispiegarsi della sua maturità critica in numerosi saggi. Negli anni '50 si dedicò a quel commento alla Divina Commedia che, apparso tra il '55 e il '57, resta ancora oggi modello insuperato di metodo critico e di rigore filologico. Lasciato nel 1976 l'insegnamento universitario, proseguì instancabile l'attività di critico, con articoli e saggi per le più varie destinazioni, rivedendo e aggiornando con nuove edizioni le sue opere precedenti. Si spense a Roma l'11 aprile 1990.
Nell'autunno dell'89, pochi mesi prima di spegnersi, Natalino Sapegno aveva espresso il desiderio che la sua ricca biblioteca fosse donata alla Valle d'Aosta. La Fondazione Sapegno, voluta dalla famiglia e dalla Regione Valle d'Aosta allo scopo di accogliere e  utilizzare il suo lascito, è dunque nata nel segno dell'attaccamento del maestro alla sua terra natale, dove oggi riposa, nel cimitero di Aosta. La Fondazione ha sede nella Tour de l'Archet di Morgex dove viene custodita la sua importante biblioteca.

(testo tratto dal sito del Centro studi storico letterari Natalino Sapegno)

 

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